Quando muore un familiare, il conto viene congelato per tutelare l’intero asse ereditario. È corretto: servono i controlli e la verifica della documentazione. Il problema nasce quando, nonostante tutto sia stato consegnato, il conto resta fermo e gli eredi non ricevono le somme. È la classica situazione di banca che non liquida l’eredità, dove prassi interne, richieste ripetute di carte già inviate o attese per firme mancanti trasformano un iter lineare in un’attesa estenuante.
Il tempo tecnico ragionevole — in assenza di contenziosi e con incartamenti completi — è in genere di 15–30 giorni per il solo conto corrente; tempi più lunghi se ci sono titoli, dossier, polizze o cassette di sicurezza. Oltre tali soglie, l’inerzia può integrare un inadempimento agli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale, con possibili profili risarcitori. In questi casi è cruciale distinguere gli intoppi fisiologici dai ritardi ingiustificati e passare a un approccio formale e tracciabile.
Il primo passaggio operativo è verificare che tutti gli eredi abbiano presentato quanto richiesto (dichiarazione di successione, certificato di morte, atto notorio o dichiarazione sostitutiva, documenti e coordinate per l’accredito). Se un coerede non firma o si oppone, l’istituto non può pagare selettivamente: serve un accordo scritto tra tutti o, in mancanza, una soluzione giudiziale. Se invece non ci sono conflitti e la pratica è completa, è opportuno inviare una diffida alla banca per successione (PEC o raccomandata A/R) con messa in mora: richiesta di sblocco entro un termine preciso, indicazione dei danni da ritardo e avviso di azioni successive.
Quando l’istituto continua a rinviare o tace, lo strumento più rapido ed efficace è il ricorso Arbitro Bancario Finanziario (ABF): si presenta online, ha costi contenuti e decisioni che, pur non essendo sentenze, vincolano la banca salvo diversa azione in Tribunale. L’ABF valuta trasparenza, diligenza e correttezza nella gestione della successione e ha spesso censurato ritardi oltre 30 giorni, richieste duplicate di documenti, rifiuti in presenza di eredi rinunciatari o mancate risposte alle PEC.
Parallelamente, conserva un dossier probatorio: cronologia contatti, ricevute PEC, moduli consegnati, eventuali risposte interlocutorie dell’istituto.
Questo materiale è decisivo sia davanti all’ABF sia, se necessario, per un’azione giudiziale (ad esempio con rito sommario) per ottenere la liquidazione delle quote e il ristoro dei danni da ritardo. Con una strategia coordinata — tecnica, documentale e legale — è possibile trasformare un conto di successione bloccato in una pratica finalmente evasa, riducendo i tempi e alzando le probabilità di successo.